Nel 1943 Leo Kanner, psichiatra austriaco, definì per la prima volta le caratteristiche di alcuni bambini caratterizzati da una “incapacità di interagire con gli altri in maniera normale”, colpiti da “un isolamento autistico che sembra tagliarli fuori da tutto ciò che succede attorno…”.
Da quella prima definizione, che interpretava l’autismo come una “reazione psicologica” di chiusura verso l’esterno, ad oggi, sono stati fatti passi da gigante – anche se non siamo ancora in grado di dare una risposta a tutte le domande e le sfide che questo complesso disturbo ci pone.
Sicuramente, grazie alla ricerca degli ultimi decenni, possiamo dare alcune risposte prendendo le distanze da miti ed idee infondate.
Cos’e’ l’autismo?
L’autismo, termine più recentemente sostituito dall’Associazione degli Psichiatri Americani nel manuale DSM 5 con “Disturbo dello Spettro Autistico”, rientra nella macroarea dei Disturbi del Neurosviluppo ed è un disturbo organico causato da una predisposizione genetica in concomitanza con fattori di rischio ambientali (soprattutto nel corso della gravidanza o del parto). Questa interazione determina un’alterazione dello sviluppo del cervello, che si esprime, con gradi di gravità diversi da un individuo all’altro, in una traiettoria anomala dello sviluppo cognitivo e di conseguenza in un’anomala organizzazione del comportamento.
Quali sono i sintomi?
Dal concetto di triade sintomatologica descritto da Kanner, caratterizzato da:
- difficoltà in ambito sociale,
- difficoltà in ambito comunicativo
- difficoltà di organizzazione del comportamento,
che ha portato alla definizione di sindrome (difficoltà contemporanea in diverse aree dello sviluppo), si è oggi passati al concetto di diade, ridefinendo le manifestazioni cliniche punto di riferimento su cui poggia la diagnosi:
- deficit nell’area della comunicazione sociale, che comprende il deficit nella comunicazione verbale e non verbale e il deficit sociale, che investe la capacità diavviare l’interazione e di rispondere all’iniziativa di un’altra persona);
- deficit di “immaginazione”, ovvero la presenza di unrepertorio ristretto di attività e di comportamenti ripetitivi e stereotipati.
I sintomi dell’autismo tendono a essere permanenti e tuttavia variabili man mano che il bambino cresce. In molti casi, soprattutto quando viene attuato un intervento educativo precoce ed adeguato, si osservano miglioramenti significativi in molte aree dello sviluppo.
Quali sono le caratteristiche dell’autismo?
Area della comunicazione sociale
- Le manifestazioni cliniche del deficit comunicativo presentano livelli di gravità molto diversi: alcuni bambini non parlano affatto, alcuni parlano troppo, altri troppo poco. Le casistiche più recenti indicano che circa il 70% acquisisce nel tempo qualche forma di espressione verbale (Moldin e Rubinstein, 2006; Amaral et Al., 2011). Tuttavia, anche i bambini che raggiungono un buon livello di linguaggio verbale, mostrano difficoltà con la pragmatica della comunicazione, cioè con l’utilizzo del linguaggio nel contesto di un’interazione sociale.
Il deficit in questa area si estende anche alla comunicazione non verbale: anzi una delle anomalie più spesso riscontrate nei bambini con autismo già nel secondo anno di vita è il mancato sviluppo della gestualità per dirigere l’attenzione dell’adulto verso oggetti o eventi (indicazione).
Anche la comprensione è difficile, sia degli aspetti verbali (linguaggio letterale e non letterale: le metafore, i modi di dire..), che di quelli non verbali (gesti, espressioni facciali, intonazione, linguaggio del corpo..).
- Le manifestazioni cliniche del deficit sociale si esprimono in anomalie nell’orientare l’attenzione verso gli altri e nella difficoltà di “leggere” il comportamento sociale degli altri. Molti bambini autistici infatti guardano negli occhi molto meno spesso dei loro coetanei, cercano il contatto con i pari molto raramente, mostrano scarsi comportamenti prosociali come: condividere l’interesse, l’entusiasmo per qualcosa, cooperare spontaneamente con gli altri ed imitarli.
La conseguenza di tutto ciò per il bambino con autismo si traduce in una minore opportunità di imparare “dalle” persone e “sulle” persone.
Area dell’ “immaginazione”
L’autismo è fortemente caratterizzato da comportamenti rigidi e ripetitivi che sono spesso basati sul ristretto numero di interessi.
In questa area rientrano le cosiddette stereotipie motorie come: sbattere le braccia ritmicamente, agitare le dita davanti agli occhi, muovere ritmicamente il busto avanti e indietro.
La modalità ripetitiva si manifesta anche nella vita di tutti i giorni: voler mangiare sempre le stesse cose, voler guardare la TV e/o andare a letto sempre allo stesso orario, voler andare a scuola facendo sempre la stessa strada, volere la stessa disposizione dei giocattoli nella stanza…
Le cause di tale modalità probabilmente risiedono nella esigenza del bambino di rendere prevedibile e “sicuro” un mondo da lui percepito come caotico e imprevedibile.
Altre manifestazioni associate possono essere:
- difficoltà legate all’ansia e all’autoregolazione emotiva;
- ipersensibilità agli stimoli visivi, uditivi, olfattivi e tattili;
- difficoltà nei processi che sottendono alla pianificazione e all’organizzazione del proprio agire (funzioni esecutive);
- anomalie dell’attenzione.
Quali possono essere i segnali predittivi?
Elenchiamone alcuni:
- Il bambino è troppo calmo e dorme molto (fino a sei mesi);
- Il bambino non anticipa con il movimento delle braccine quando il genitore si avvicina per prenderlo (dai sei mesi);
- Il bambino guarda e sorride poco (dai sei ai dodici mesi);
- Il bambino non si gira se chiamato, come se avesse un deficit uditivo, rimane eccessivamente affascinato dalle luci e tende ad autostimolarsi guardando sempre gli stessi oggetti (a un anno);
- Assenza di lallazione (a sei-dodici mesi);
- Deambulazione autonoma acquisita dai 14 mesi;
- Assenza di attenzione condivisa (triangolazione dello sguardo) e di indicazione a uno-due anni;
- A uno-due anni compaiono gesti ripetitivi e stereotipie d’oggetto.
- A due anni il bambino non parla e ricerca l’isolamento;
- Il bambino mostra reazioni emotive esagerate a sei, dodici, ventiquattro mesi;
- A tre anni assenza di gioco sociale e ancora nessun gioco simbolico.
Come si può intervenire?
Nell’ampio panorama delle offerte terapeutiche rivolte alle persone con Disturbi dello Spettro Autistico, è opportuno innanzitutto accertarsi che gli operatori seguano le Linee Guida per il trattamento emanate dal Sistema Sanitario Nazionale e dall’Istituto Superiore di Sanità (documento completo scaricabile all’indirizzo: http:/www.snlg-iss.it/lgn_disturbi_spettro_autistico).
Per sviluppare i prerequisiti della comunicazione (intenzionalità comunicativa e desiderio di influenzare il comportamento altrui), l’intervento sarà logopedico, di tipo comunicativo-linguistico, mirato a sviluppare la pragmatica della comunicazione per stimolare l’interazione sociale e per mostrare ed esprimere bisogni e desideri. Tale intervento potrà se necessario essere integrato con strategie di supporto per le abilità comunicativo-alternative (CAA).
In una patologia così complessa ed eterogenea, sarà necessario associare interventi di tipo psico-educativo, comportamentale e psicomotorio in una prospettiva integrata.
L’obiettivo verso cui tutti gli operatori devono convergere sarà quello di migliorare la qualità di vita del bambino, modificando le caratteristiche dell’ambiente in cui vive per facilitare l’apprendimento di abilità adattive e stimolare la comparsa di comportamenti più funzionali.
Dott.ssa Paola Montoro – logopedista e counselor
Dott.ssa Raffaella Sisti – logopedista
Associazione Paroleincerchio- Studio di Logopedia
Ringraziamo la collega Dott.ssa Laura Tomaselli per la partecipazione e la collaborazione.